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L’Editoria su Pier Paolo Pasolini: come riuscire a districarsi

Articolo pubblicato sul sito di Notte Criminale il 26/12/11

di Simona Zecchi – PREMESSA DI OGGI 18/03/14

Scrissi l’articolo che segue, e che porta il titolo sopra, a fine dicembre del 2011 quando ancora non erano stati dati alle stampe altri due importanti contributi: “Frocio e basta” a cura di Carla BenedettiGiovanni Giovannetti di “Effigie Edizioni” e i molteplici contributi contenuti in un numero monografico de “I Quaderni de L’Ora” (<<Ila Palma Edizioni Palermo>>) dei direttori Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza nel quale è presente anche l’inchiesta svolta dalla sottoscritta, Simona Zecchi, e dalla collega Martina di Matteo. Inedita e ultima in ordine di “apparizione”, questa, dal titolo “Viaggio nella notte all’idroscalo”. L’inchiesta, senza pretese esaustive proprie di un lavoro giornalistico  totale  normalmente con tesi acclusa, fotografa e in parte riscrive la dinamica immediatamente successiva alla mattanza di cui fu vittima Pier Paolo Pasolini, quella notte fra il 1 e il 2 novembre del 1975. Getta così  luce sul ruolo di alcuni personaggi da sempre ritenuti in qualche modo legati a quella notte, dà un’ipotesi di dinamica  (suffragata tuttavia da diversi elementi) infine, contiene una rivelazione altrettanto inedita riguardante un faldone che conterrebbe la documentazione scomparsa tra le carte di Pasolini.

Il libro di Effigie Edizioni oltre a dare un proprio sguardo e punto di vista su motivi e mandanti, riconducibile  secondo gli autori alla tesi più  accreditata finora ossia il collegamento fra le morti di Enrico Mattei, Mauro De Mauro e Pasolini (la quale come leggerete più avanti fu resa nota e sviluppata  dai giornalisti Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza) , si inoltra in un interessante viaggio quasi mai esplorato dalla saggistica immane sulla morte del poeta, ossia: in quel mondo della cultura e dell’intellighentia, soprattutto di sinistra, che ha contribuito per molti aspetti a dare ragione a chi continua a ripetere come un mantra che la morte del letterato e regista fu solo conseguenza della vita che conduceva. Certo a sinistra questo lavoro di “affossamento” viene svolto con più arguzia e anche per certi aspetti convinzione accumulatesi via via negli anni (qualcuno anche per diretta conoscenza dello scrittore) mostrando però al contrario una conoscenza non  parziale bensì  esclusiva di un aspetto soltanto del mondo, le opere e il suo significato di Pasolini. E’ come affrontare  un lavoro d’inchiesta giornalistica con una tesi già in mente in partenza, cosa che porta a scartare automaticamente tutto ciò che non ci convince e per questo comunque parziale e spesso fuorviante.

A dicembre infine su due quotidiani nazionali, rispettivamente “Il Tempo” e “Il Manifesto” si sono aggiunte alcune novità sul caso: la prima riguardante gli innumerevoli testi sentiti dalla Procura di Roma, che ha riaperto l’inchiesta già dal 2010 (titolare il sostituto prcuratore Francesco Minisci), indiscrezione questa in parte smininuita e smentita dallo stesso avvocato Maccioni qualche giorno dopo alla sottoscritta e alla Di Matteo in un articolo su Il Manifesto di più ampio respiro che comprendeva una lunga intervista a Pino Pelosi. L’intervista approfondiva alcuni fatti senza dar modo al Pelosi  di sfuggire a determinati assunti ormai incontrovertibili e soprattutto i protagonisti che avrebbero partecipato all’agguato e che venivano ben tratteggiati, quasi indicandone l’identità. Protagonisti provenienti da un mondo ben preciso fatto di giornalisti e avvocati in odore di P2 ed eversione nera accompagnati da un mondo altro vicino a Pasolini che in qualche modo si rese complice dell’agguato e delle sue conseguenze. Pelosi è per sua scelta ormai, per certi versi, inattendibile ma alcuni fatti non li ha mai smentiti e sono i fatti che danno il contorno se non la sostanza di ciò che accadde.

Oggi data l’uscita dell’intervista rilasciata dall’avvocato Stefano Maccioni (l’avvocato che per primo, insieme alla criminologa Simona Ruffini, fece riaprire l’indagine con nuovi elementi da cui ripartire), riguardante l’imminente chiusura dell’inchiesta giudiziaria ripropongo questo percorso nella saggistica sulla morte di Pasolini che spero possa essere d’aiuto almeno in buona parte sul lavoro spesso immane di giornalisti e saggisti che sempre hanno affrontato difficoltà, opposizioni e sacrifici per dare un contributo al disvelamento della verità. certo  non tutto, come accade nella norma, può essere provato e verificato ma gli indizi (che non sono mai prove) delineano un contesto politico, culturale  e sociale che ha segnato la vita repubblicana di questi ultimi 40 anni, nel quale la morte di Pasolini comunque rientra. Oggi lo scrittore non sarebbe probabilmente più vivo,  chissà, ma è certo che l’avremmo avuto tra noi per molto molto tempo ancora e con lui la sua voce critica e alta che ci spinge  a raccogliere gli elementi della realtà che ci occorre intorno e collegarli tra loro per andare “oltre il tessuto superficiale della cronaca e scoprire il cancro come dei chirurghi”.

 ViscaPier Paolo Pasolini – Una Morte Violenta”, (Castelvecchi, 2010) l’inchiesta della prima cronista sul posto la mattina del 2 novembre 1975, Lucia Visca; “Io so…come hanno ucciso Pasolini” (Vertigo Edizioni, 2011) di Pino Pelosi, con il ghost-writing del regista Federico Bruno e l’avvocato Alessandro Olivieri; “Il Patto” (2011) un audio-documentario sulla riapertura delle indagini, del documentarista Roman Herzog, “Nessuna Pietà per Pasolini” (Editori Internazionali Riuniti, 2011) del giornalista Valter Rizzo, l’avvocato Stefano Maccioni e la criminologa Simona Ruffini.

Sono i più recenti contributi dati in stampa che affrontano quella dinamica a forma di matassa che ha avvolto la morte di Pasolini; una matassa che continua a riavvolgersi ogni giorno, ogni anno e a ogni anniversario della morte dell’intellettuale scippato all’Italia  ormai 36 anni fa.

Ore 7.00 del 2 novembre 1975: inizia tutto da lì l’assalto mediatico. Una telefonata del brigadiere di Ostia avverte la cronista che si occupava del litorale romano per Paese Sera, Lucia Visca:<<Abbiamo un morto all’idroscalo. Interessa?>>. È la prima giovane penna  che deve marcare stretto il commissariato di zona e fare da spalla alle firme più importanti, a raccontare in un pamphlet/inchiesta quelle prime ore dove già tutti i misteri erano accaduti. Fino al 3 novembre 1975 ore 8.35 in cui il quotidiano riporta i fatti della notte prima ma senza la sua firma: come l’iter scandito di allora voleva, la gavetta prima e sempre. Visca come tutti sta ancora attendendo le risposte sul movente che ha mosso quelle mani sul corpo di Pasolini.

Il libro di Pelosi, presentato a Roma il 28 ottobre scorso dove fu protagonista un’incursione particolare, quella del fotografo di Pasolini, Dino Pedriali: affermazioni per chiarire, fare distinguo e riuscire ad avere una piccola parte in questa storia affollata di personaggi. Il libro, dicevamo, è l’ultima confessione sempre scevra dell’ultima vera verità, come lo stesso autore e protagonista di quella notte di sangue, Pino Pelosi,  scrive nella premessa:<< Mentre leggete, cercate anche di intuire il non detto, quello che ancora oggi non si può rivelare.>> Pelosi rivela alcuni fatti che, per chi segue questa storia da un po’ di tempo e a a vario titolo, sono spesso dati per scontati perché a volte presenti negli atti processuali acquisiti negli anni; oppure perché già rivelate prima ma senza il crisma della confessione, magari a mezza bocca oppure riferite da altri “che sanno”.

Il patto

Poi l’audio-documentario di Roman Herzog “Il Patto”, che riapre la questione dal punto di vista giudiziario e col solo ausilio delle voci (da quella di PPP, Alberto Moravia, Ettore Scola o persino i ragazzi dell’Idroscalo e del cugino di Pasolini Guido Mazzon, il cui legale Stefano Maccioni, oltre ad essere il co-autore del libro citato prima è anche stato il fautore, insieme a Simona Ruffini, della riapertura delle indagini nel 2010 su richiesta depositata nel 2009.) Il documento parte dalla dichiarazione del senatore Marcello Dell’Utri (PDL). La dichiarazione viene ripresa su molti quotidiani:<<Ho incontrato una persona che non conoscevo in una pubblica manifestazione; mi si è avvicinato mostrandomi una cartelletta in cui c’era dentro un capitolo di “Petrolio” e chiedendomi se fossi interessato. L’ho aperta e ho visto una serie di fogli in carta velina battuti a macchina con correzioni a penna: “Lampi su Eni” era il titolo; poiché volevo leggerlo lo invitai a passare nella mia biblioteca il giorno dopo ma lui non è più passato>>. Il racconto sulla riapertura delle indagini prosegue con l’intervento di Walter Veltroni e la risposta sul Corriere dell’ex Ministro della Giustizia Angelino Alfano. Una lettura questa un pò riduttiva sull’input che ha dato il LA alla riapertura delle indagini, visto che quello vero fu dato da Maccioni e Ruffini; il punto è che effetto mediatico e verità dei fatti spesso si sovrappongono e mescolandosi danno soluzioni diverse.

Tuttavia il documentario è molto interessante per i contributi dei vari protagonisti che si avvicendano: giornalisti, avvocati, intellettuali. Tutte testimonianze significative del tempo e dei tempi trascorsi senza le quali è difficile districarsi per capire l’intera vicenda: anche quando queste testimonianze non raccontano il vero, o raccontano solo il verosimile o quello che credono di sapere.

“Il Patto” pone la questione, documentata, sul motivo che ha spinto Dell’Utri a fare quella dichiarazione, le cui conseguenze  hanno visto l’ultimo atto proprio in questi giorni, quando il procuratore Antonio Ingroia ha chiamato in Procura il senatore per capire meglio questo aneddoto, in riferimento alla scomparsa del giornalista Mauro De Mauro nel 1970. Com’è noto, infatti, questa scomparsa viene collegata a quella dell’ex presidente dell’Eni Enrico Mattei e a quella di P.P. Pasolini. Lo hanno dimostrato in un’inchiesta giornalistica Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza (“Profondo nero”, Chiarelettere 2008) e l’hanno presa in seria considerazione in primis il procuratore di Parma Vincenzo Calia e appunto Antonio Ingroia: in particolare su quanto emerso con riferimento al manoscritto “Petrolio” e al libro “Questo è Cefis” di Giorgio Steimetz; ovvero la tesi secondo la quale lo scrittore ucciso sarebbe venuto a conoscenza dei mandanti dell’omicidio Mattei indicandoli nel proprio romanzo “Petrolio”.

profondo nero

“Nessuna Pietà…” di Rizzo, Maccioni e Ruffini contiene due punti essenziali nella storiografia delle piste che vogliono spiegare quel delitto efferato, compiuto in un momento di compromesso storico imminente poi sfumato tra PCI e DC, in un momento in cui le contrapposizioni violente fra“rossi” e “neri” e gli interessi economici alla base di tutto non accettavano le domande di chi voleva capire e per questo indagava anche indietro nel tempo, come Pasolini.  Innanzitutto la pista “Catania” più volte anch’essa suggerita nel corso del tempo. La pista siciliana  viene accennata nel Prologo con già 4 protagonisti e a distanza di 10 anni dalla morte del regista: tre giovani e un letterato su un espresso che da Catania portava verso Roma. Una pista che viene ripresa in un capitolo  nel quale l’identità del letterato non viene rivelata per richiesta dello stesso; una conversazione raccolta dal giornalista di Chi l’ha visto Valter Rizzo, che filmò anche l’intervista a Pelosi andata in onda nella trasmissione nel 2009. L’uomo racconta della Catania vista da Pasolini che utilizzava come rifugio dagli “amici romani” (anche, a suo dire, da Laura Betti attrice e cantante italiana molto vicina a Pasolini e dalla quale difficilmente però lo scrittore si voleva separare; la stessa che ha passato gli ultimi anni della sua vita a prendersi cura del Fondo istituito per il suo amico e collega). A Catania, rivela l’uomo, Pasolini  cercava storie e volti per i suoi film, indagava a livello sociologico sui ragazzi prestati al fascismo imperante di quegli anni. Una Catania in cui Pasolini sembrerebbe aver vissuto un’altra delle sue vite. L’uomo parla delle contraddizioni e dei lati oscuri del poeta per averlo conosciuto in ambito universitario, appunto 30 anni prima, e del suo rapporto irrisolto con l’omosessualità. Tuttavia, negli anni di cui si parla nel libro questo rapporto che, secondo l’uomo, Pasolini cercava di espiare tramite il pagamento delle prestazioni, Pier Paolo lo aveva già risolto, come si evince dalle lettere pubblicate dal biografo e cugino Nico Naldini (“Vita attraverso le Lettere” Einaudi 1993) e scritte tra il 1955 e il 1975 poco prima di morire: “La mia omosessualità non è più un Altro dentro di me” – Lettera a Franco Farolfi, 1948; “come la libidine, anche la purezza è inesauribile: si ricostituisce dentro per conto suo” – aprile 1954; infine più esplicita già prima nel 1950 a Silvana Mauri: ”non m’è ne mi sarà sempre possibile parlare con pudore di me; e mi sarà invece necessario spesso mettermi alla gogna, perché non voglio più ingannare nessuno”. Dunque, lo spartiacque era avvenuto già durante il passaggio letterario e geografico fra il mondo friulano e quello romano della borgata dove Pasolini esprimeva la sua omessualità ormai senza più “pudore”.  Certo i movimenti dei marchettari catanesi utilizzati come picchiatori e che si spostavano da Catania verso Roma va verificato e collegato con la morte di Pasolini se si vuole inserire questa vicenda con quella di Enrico Mattei. Certo l’aereo è partito da Catania e lì verosimilmente sabotato. Ma Pasolini è stato ucciso a Roma sul litorale laziale e il territorio, soprattutto in quegli anni ha un significato e una simbologia determinanti. L’altro punto riguarda il verbale “scomparso” o “dimenticato”: quel verbale in cui il ristoratore Panzironi nel riferire agli inquirenti della cena consumata al Biondo Tevere, fa un identikit della persona che accompagnava lo scrittore diversa da quella di Pelosi. Capelli lunghi biondi invece di ricci e scuri (Pelosi) e subito dopo, in modo contraddittorio, conferma invece l’identità riferita al Pelosi. Un verbale di istruzione sommaria non sconosciuto, già diffuso attraverso un libro di autori vari con la prefazione di Giorgio Galli: “Omicidio nella persona di Pasolini Pier Paolo” (Kaos, 1992) un estratto di atti processuali ripresi dalle inchieste fino alla sentenza della corte di cassazione. Tra i verbali molte le cose rimaste senza approfondimenti veri, dunque, questo verbale rimane un’incongruenza tra tante, seppure gli spunti si rivelano interessanti e la costruzione della vicenda tutta contribuisce a fare chiarezza su alcuni aspetti.

KAOS PASOLINI

È doveroso citare tra gli scritti che vogliono riportare l’intellettuale alla memoria collettiva soprattutto dei ragazzi il libro di Fulvio AbbatePier Paolo Pasolini raccontato ai ragazzi” (Dalai Editore, 2011). Un testo a metà tra il racconto biografico e i pezzi amarcord che rivelano più di qualsiasi opinione  il peso culturale e umano rappresentato da Pasolini.

abbate

Resta forse difficile districarsi ma allo stesso tempo il contributo di tutti è rivelatore dell’importanza che questa vicenda ha nella storia del nostro paese e insieme può fungere da ausilio tecnico e  culturale alle indagini in corso per la prima volta rimaste aperte e non seppellite di fretta.

“Pier Paolo Pasolini – Una Morte Violenta”, (Castelvecchi, 2010) l’inchiesta della prima cronista sul posto la mattina del 2 novembre 1975, Lucia Visca; “Io so…come hanno ucciso Pasolini” (Vertigo Edizioni, 2011) di Pino Pelosi, con il ghost-writing del regista Federico Bruno e l’avvocato Alessandro Olivieri; “Il Patto” (2011) un audio-documentario sulla riapertura delle indagini, del documentarista Roman Herzog, “Nessuna Pietà per Pasolini” (Editori Internazionali Riuniti, 2011) del giornalista Valter Rizzo, l’avvocato Stefano Maccioni e la criminologa Simona Ruffini.
 Sono i più recenti contributi dati in stampa che affrontano quella dinamica a forma di matassa che ha avvolto la morte di Pasolini; una matassa che continua a riavvolgersi ogni giorno, ogni anno e a ogni anniversario della morte dell’intellettuale scippato all’Italia ormai 36 anni fa.
 Ore 7.00 del 2 novembre 1975: inizia tutto da lì l’assalto mediatico. Una telefonata del brigadiere di Ostia avverte la cronista che si occupava del litorale romano per Paese Sera, Lucia Visca:< Abbiamo un morto all’Idroscalo. Interessa?>. È la prima giovane penna che deve marcare stretto il commissariato di zona e fare da spalla alle firme più importanti, a raccontare in un pamphlet/inchiesta quelle prime ore dove già tutti i misteri erano accaduti.
Fino al 3 novembre 1975 ore 8.35 in cui il quotidiano riporta i fatti della notte prima ma senza la sua firma: come l’iter scandito di allora voleva, la gavetta prima e sempre. Visca come tutti sta ancora attendendo le risposte sul movente che ha mosso quelle mani sul corpo di Pasolini.
 Il libro di Pelosi, presentato a Roma il 28 ottobre scorso dove fu protagonista un’incursione particolare, quella del fotografo di Pasolini, Dino Pedriali: affermazioni per chiarire, fare distinguo e riuscire ad avere una piccola parte in questa storia affollata di personaggi. Il libro, dicevamo, è l’ultima confessione sempre scevra dell’ultima vera verità, come lo stesso autore e protagonista di quella notte di sangue, Pino Pelosi, scrive nella premessa: Pelosi rivela alcuni fatti che, per chi segue questa storia da un po’ di tempo e a a vario titolo, sono spesso dati per scontati perché a volte presenti negli atti processuali acquisiti negli anni; oppure perché già rivelate prima ma senza il crisma della confessione, magari a mezza bocca oppure riferite da altri “che sanno”.

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Aldo Moro – Il meno implicato

lucciole

“Nella fase di transizione – ossia durante la scomparsa delle lucciole – gli uomini di potere democristiani hanno quasi bruscamente cambiato il loro modo di esprimersi, adottando un linguaggio completamente nuovo (del resto incomprensibile come il latino): specialmente Aldo Moro: cioè (per una enigmatica correlazione) colui che appare come il meno implicato di tutti nelle cose orribili che sono state organizzate dal ’69 a oggi, nel tentativo, finora formalmente riuscito, di conservare comunque il potere”

“Il vuoto del potere” – ovvero l’articolo delle lucciole – Pier Paolo Pasolini 01 febbraio 1975

“E come se, dentro al Palazzo, tre anni dopo la pubblicazione sul <Corriere della Sera> di questo articolo di Pasolini, soltanto Aldo Moro continuasse ad aggirarsi: in quelle stanze già sgomberate. Già gomberate per occuparne altre ritenute più sicure: in un nuovo e più vasto Palazzo. E più sicure, s’intende, pe ri peggiori. “Il meno implicato di tutti”, dunque. In ritardo e solo: e aveva creduto di essere una guida. In ritardo e solo appunto perché “il meno implicato di tutti” destinato a più enigmatiche e tragiche correlazioni”

“L’Affaire Moro” – Leonardo Sciacia 1994

Risposta di Pier Paolo Pasolini a Italo Calvino – 8 luglio 1974

<<Che degli altri abbiano fatto finta di non capire è naturale. Ma mi meraviglio che non abbia voluto capire tu (…) Io rimpiangere l’Italietta? Ma allora tu non hai letto un solo verso delle Ceneri di Gramsci o di Calderón, non hai letto una sola riga dei miei romanzi (…) Perché tutto ciò che io ho fatto e sono, esclude per sua natura che io possa rimpiangere l’italietta>>

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– Da Limitatezza della storia e immensità del mondo contadino, in Scritti Corsari, apparso già in Paese Sera come “Lettera aperta a Italo Calvino: Pasolini, quello che rimpiango”

Pasolini, l’ombra dei picchiatori fascisti – Pino Pelosi ricostruisce la notte dell’omicidio del poeta. E conferma la presenza all’idroscalo di Ostia di almeno altre sei persone oltre a lui

Articolo pubblicato su Il Manifesto il 6/12/13 (versione cartacea)

di Simona Zecchi – Martina Di Matteo

Centoventi testimoni sentiti, 19 nuovi profili genetici e nuove intercettazioni. Sono le novità che sarebbero emerse nelle indagini sulla morte di Pier Paolo Pasolini. Nell’intervista che segue, Pino Pelosi sviscera alcuni nuovi dettagli che gettano una luce diversa su motivazione e ambiente in cui sarebbe maturato il delitto, esortando gli inquirenti a cercare anche tra la cerchia di persone più vicine a Pasolini, nella borgata. Pelosi punta poi il dito su quanti tra politici, familiari e amici sanno la verità o sanno dove cercare ma non si impegnano. La notte del 2 novembre 1975 ancora non svela il volto in chiaro degli assassini ed eventuali mandanti.

Le indagini stanno andando avanti: cosa ne pensi di ciò che è appena uscito? Pelosi ride beffardo: Spero che approdino davvero a qualcosa, io ho già fatto i nomi dei Borsellino al tempo, gli altri 4 non li conoscevo, era notte e non si vedeva nulla

Pino, tu avevi indicato delle persone presenti quella notte, un numero preciso. Oltre a te, altri 6: i Borsellino, due picchiatori insieme all’uomo con la barba, un uomo nella seconda macchina (nel 2010 un nuovo testimone Silvio Parrello rivelò della presenza di una seconda macchina e l’identità dell’uomo che l’avrebbe guidata). L’uomo con la barba ti avrebbe minacciato. Durante la prima intervista, dopo 30 anni di silenzio, avevi dichiarato che l’uomo avesse un accento siciliano. Elemento che non hai più ritrattato. Confermi?

Lo avevo detto per depistare, era italiano, basta.

Gli altri due erano romani? I Borsellino, di cui tu hai già parlato erano vicini al circolo Msi del Tiburtino. Anche i due picchiatori facevano parte dello stesso ambiente? Si, poteva essere.

Nel 2011 hai rilasciato alcune dichiarazioni a Valter Veltroni in cui asserivi che la tua prima deposizione ti fosse stata imbeccata. È così? Confermo di essere stato minacciato dall’uomo con la barba, che mi ha gettato l’anello sul posto e mi ha detto di inventarmi la versione. In carcere poi mi venivano a trovare per dirmi di continuare così.

Avevi 17 anni, come hai fatto ad avere sempre la lucidità per mantenere la stessa versione ogni volta? Ero un ragazzino: a vivere nel terrore rimani lucido, freddo e concentrato a non sbagliare.

Quando hai ricevuto in carcere il famoso telegramma che indicava Rocco Mangia come nuovo difensore da nominare, hai mai pensato che avessero proposto denaro ai tuoi genitori? E come facevano a conoscere Francesco Salomone (l’allora giornalista de «Il Tempo», tessera P2 nr. 1911- Ansa 21/05/1981, che aveva indicato ai genitori di Pelosi di assumere Rocco Mangia come avvocato, (ndr)? A me non piacciono queste associazioni con quel mondo. Dicevano che Rocco mangia era l’avvocato degli assassini del Circeo e dei fascisti.

Certo, ma quello era in buona parte il mondo da cui proveniva la manovalanza. Si ma io non c’entro niente con quel mondo.

L’uomo con la barba è vivo? (ride) Gli altri due, sono morti? I due picchiatori? Non li ho visti bene ma erano più giovani del “barbone” che all’epoca aveva 40 anni. Quell’uomo era più importante dei picchiatori, gestiva tutto. Certo potrebbe appartenere all’altro livello.

Non lo conosci o hai paura? Non so nulla. Però mi chiedo perché non interrogano anche tra le passate conoscenze dello scrittore, Ninetto davoli: perché ha fatto rottamare la macchina che Pasolini gli aveva lasciato? Perché non glielo chiedono? La macchina di pasolini poteva essere ulteriormente analizzata.

Se, come hai detto, il sangue sul tettuccio della macchina (lasciata poi incustodita dall’autorità giudiziaria, ndr), sangue lavato via dalla pioggia, era di Pasolini, cos’altro potevano trovare in quella macchina, oltre ai reperti rinvenuti e oggi sotto esame? Sotto il sedile

Cosa poteva esserci sotto il sedile? Non lo so. Sotto il sedile.. niente…

Cosa c’era? Ma l’accendino mio l’hanno trovato?

E’ importante questo accendino? Può essere importante come l’anello. Dov’è, chi l’ha preso? E’ sparito.

Ricostruiamo quella notte: tu eri davvero al ristorante con lui quella sera o eri già all’Idroscalo? No io ero con lui e con lui sono andato all’idroscalo

Vincenzo Panzironi proprietario de «Il Biondo Tevere» fece una tua descrizione che però non sembra corrisponderti (biondo, con i capelli lunghi fino al collo nda) Può darsi che Panzironi abbia fatto confusione con i giorni: il giorno prima Pasolini era in compagnia di un biondo.

Dove ti hanno fermato i carabinieri quella notte? Non mi hanno arrestato davanti alla fontanella di Piazza Gasparri ma davanti al locale Tibidabo”

Sei scappato da solo su quella macchina?

Chi era l’uomo che guidava la seconda macchina? Non lo so. Non si vedeva da qui a tre metri. Ho visto invece bene in faccia l’uomo con la barba, assomigliava all’ispettore Camilli della foto (riferimento alla foto de Il Tempo del 4 dicembre 2013, ndr)

Dici di non conoscere i due picchiatori ma hai fatto i nomi dei fratelli Borsellino quando erano già morti, sarà così anche per i due picchiatori? Non dirò mai nulla. I Borsellino quando sono andati via: prima o dopo di te?

Non li vedevo perché erano lontani, non so nemmeno se hanno partecipato anche loro al pestaggio. Ma sono arrivati dopo, con la moto.

Riprende poi dal mazzo dei ricordi: <<Un massacro orrendo che ho potuto rivivere interamente solo durante le riprese del film di Federico Bruno, (film diretto e prodotto da Bruno: «Pasolini. La Verità nascosta») Mi ha fatto impressione vedere Alberto (Testone l’attore che interpreta il poeta e saggista, con tutto il sangue addosso… Quella sera gridava mamma mi stanno ammazzando.

Perché eravate lì? Per recuperare le pizze del film: Pasolini ci teneva molto, erano gli originali e voleva proprio quelle.

Chi ti ha detto che era per le bobine l’incontro? I Borsellino. E a loro chi lo ha detto? Non lo so, quando fai certe cose non chiedi niente. Dovevo guadagnare due lire per portarlo lì ma non sapevo cosa sarebbe successo dopo, non sapevo dell’agguato. I suoi amici lo hanno usato, come Citti, l’ho scritto nel mio libro («Io so… come hanno ucciso Pasolini. – Storia di un’amicizia e di un omicidio», Vertigo 2011).

Non lo avete usato un po’ tutti lì in borgata? No, io c’ho solo rimesso famiglia, vita tutto.

In una recente intervista hai fatto riferimento a un uomo politico dicendo: «chi indaga dovrebbe andare a citofonare a certe persone, come a casa di quel politico lì… quello famoso». Un politico del presente o del passato? Una dichiarazione mal interpretata non mi riferivo a un politico in particolare. Anche se fosse così non lo direi, non dirò più nulla. Poi il riferimento era se mai a tutta quella classe politica a lui vicina che non si muove davvero per scoprire chi lo ammazzò.

Chi sono gli intoccabili di cui parli più volte? Qualcuno è morto qualcuno è vivo

Secondo la tua esperienza, per com’erano le cose in quegli anni, cosa significava pestare quasi a morte qualcuno? Una punizione, una tortura… forse per qualcosa che lui aveva scritto sui giornali causando danni a qualcuno. Bisognerebbe capire chi c’era oltre, qual era l’altro livello.

Le verità sulla morte di Pasolini sul nuovo numero de “I quaderni de L’Ora”

Le verità sulla morte di Pasolini sul nuovo numero de “I quaderni de L’Ora”

di Giorgia Cardinaletti pubblicato su Il Messaggero on line il 16/02/13

Tra gli autori degli undici capitoli del libro, Walter Veltroni, Gianni Borgna (ex assessore alla Cultura del comune di Roma), Carla Benedetti, docente di Letteratura italiana contemporanea dell’Università di Pisa

ROMA – La verità sulla morte di Pasolini. È questo l’obiettivo del nuovo numero de “I Quaderni de L’Ora” (editrice la Palma), rivista di approfondimento che riunisce tanti dei giornalisti dello storico quotidiano di Palermo “L’Ora”, dedicato interamente alla morte dell’intellettuale.

«La nostra è un’avventura editoriale – spiega Giuseppe Lo Bianco, direttore della rivista – in cui abbiamo voluto fare il punto delle indagini, raccogliere le esperienze di autori e colleghi che si sono occupati del caso con l’obiettivo di offrire un contributo di idee e di connessioni logiche volte alla scoperta della verità».

Cosa c’entra l’omicidio Pasolini con la morte di Mattei e del giornalista de “L’Ora” Mauro De Mauro? Chi era Graziano Verzotto e perché la sua figura è centrale nell’inchiesta? Cosa è successo davvero quella notte fra il 1 e il 2 novembre del 1975 quando il corpo di Pier Paolo Pasolini fu trovato in una pozza di polvere e sangue all’Idroscalo di Ostia? Walter Veltroni, Gianni Borgna, ex assessore alla Cultura del comune di Roma, Carla Benedetti, docente di Letteratura italiana contemporanea dell’Università di Pisa, lo storico Giuseppe Casarrubea, i giornalisti Walter Rizzo, Rita Di Giovacchino, Giuseppe Pipitone Mario Dondero, Martina Di Matteo, Simona Zecchi. E ancora Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, autori di “Profondo Nero” (Chiarelettere 2009) nel quale si delinea un filo unico tra la scomparsa di De Mauro, Mattei e Pasolini.

Questi gli autori degli undici capitoli del quaderno monografico “Pasolini profondo nero”. Quella di Zecchi e Di Matteo è un’inchiesta inedita: «Abbiamo scoperto – spiega Zecchi – che esiste una parte di incartamenti mai fatti rinvenire prima nascosti in stanze segrete i quali ricondurrebbero alla nostra pista: ossia l’esistenza di un’altra auto sul luogo del delitto quella notte e quindi la conferma che a uccidere Pasolini non fu un minorenne ma un gruppo folto di persone organizzate».

A commentare l’ottavo numero della rivista, durante la presentazione alla libreria Notebook dell’Auditorium Parco della Musica, anche Andrea Purgatori, giornalista e sceneggiatore, autore del soggetto de “Il muro di gomma”, film di Marco Risi sulla strage di Ustica. «Dopo l’omicidio di Pasolini sono andato a parlare con gli amici di Pelosi – racconta – e ho costruito un documentario-inchiesta sul materiale trovato. Ricostruire la verità significa fare l’operazione contraria rispetto a chi cerca di slegare gli elementi limitando, così facendo, il peso delle responsabilità».

Presente in sala anche Stefano Maccioni, avvocato di Guido Mazzon, cugino di Pasolini. È stato lui insieme alla criminologa Simona Ruffini (entrambi autori, insieme a Walter Rizzo, di “Nessuna pietà per Pasolini”, Editori Riuniti) a contribuire alla riapertura delle indagini nel 2009: «Ci siamo mossi cercando di applicare le moderne tecniche di investigazione. Nel 2010 sono emersi degli elementi importanti, mi auguro che il lavoro svolto dalla Procura porti a modificare le motivazioni della sentenza che condannò Pelosi». Tra il pubblico anche Silvio Parrello, un ex ragazzo della borgata di Donna Olimpia che conobbe Pasolini, la cui testimonianza ha portato a far emergere due carrozzieri, uno dei quali avrebbe riparato un’auto uguale a quella di Pasolini che riportava tracce di sangue.

 

 

LA MORTE DI PIER PAOLO PASOLINI. L’AUTO SCOMPARSA E UN TESTIMONE.

di Simona Zecchi articolo originale da Satisfiction 

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Considerare l’omicidio di Pier Paolo Pasolini un delitto come gli altri, soprattutto se non facente parte, nelle modalità, di quella schiera di omicidi “classici” che si citano per dare un senso agli avvenimenti la cui interpretazione resta difficile, e nonostante tutto il tempo passato, è un errore che non ci si può più permettere. Un delitto come gli altri o peggio un delitto “maturato nell’ambiente omosessuale”: questa, in base all’unica sentenza ufficiale, la vulgata comoda a molti rigirata a coloro che secondo questa moltitudine non ha mai accettato l’omosessualità, nemmeno a sinistra. Vulgata appunto.

Se questa volta le indagini ancora in corso, riaperte dalla Procura di Roma ormai quasi 3 anni fa, non riescono ancora ad apporre la parola fine su quel capitolo di storia, allora si può avere l’ardire di sperare che non tutto deve concludersi come sempre in Italia. In parte quest’affermazione simil-utopica è però confermata dalla recente sentenza civile sulla strage di Ustica che riscriverà la storia e la cronaca italiane di quel giorno di 33 anni fa: “E’ stato un missile”. Lo hanno gridato per anni giornalisti e registi con fatti alla mano (Andrea Purgatori nella sceneggiatura de “Il muro di gomma” di Marco Risi e di più Fabrizio Colarieti che con il libro “Punto Condor” – ed. Pendragon, 2002 – scritto insieme a Daniele Biacchessi aveva già portato alla luce una verità che persino gli americani avevano scritto “E’ stato un missile”: non un incidente né un attentato interno al velivolo.) Ecco questa è la speranza e insieme la premessa. Due anni fa, mentre cercavo di trovare un senso al “fattaccio” dell’Idroscalo, prima leggendo e rileggendo gli scritti di Pasolini poi andando incontro ai fatti senza retorica e facendo a meno delle verità precostituite, ho incontrato la collega Martina di Matteo. Insieme abbiamo unito le forze (documenti, fonti e ricerche) spesso ricominciando da capo, ma sempre con un punto fisso: la ricerca della verità. Assioma questo per molti, soprattutto per “gli anti-complottisti”, che fa ridere e sicuramente farà sorridere in modo beffardo ancora una volta. Questo non ci disturba e non frena il nostro lavoro con tutta l’umiltà e la caparbietà possibili.

L’inchiesta finora inedita, frutto del lavoro mio e di Martina, il cui estratto è ora gentilmente ospitato dalla rivista “Satisfiction” è contenuta per intero nel numero monografico su Pier Paolo Pasolini de “I Quaderni de l’Ora” (edizioni Ila Palma-Micromedia, Palermo), rivista d’inchiesta, cultura e analisi politica che ha riaperto le pubblicazioni a fine 2012. Il numero, diretto da Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, oltre a contenere altrettanti estratti di inchieste sulla morte dell’intellettuale dei giornalisti che se ne sono occupati, è sostenuto in gran parte da quel filo che lega le morti di Mattei De Mauro e Pasolini, le prime due confermate anche nelle motivazioni alla recente sentenza dei giudici di Palermo che nell’assolvere Totò Riina attribuiscono ad altri fattori la responsabilità della scomparsa del giornalista de “L’Ora”, il cui corpo o resti non furono mai ritrovati. La rivista è in sé preziosa anche per la presenza dei contributi fotografici e saggistici come i lavori di Mario Dondero e il contributo critico della saggista . Alcune poesie di Pasolini poi arricchiscono la pubblicazione aggiungendo valore culturale e di testimonianza.

Di seguito solo un brano che rivela però il filo conduttore del lavoro svolto da noi: il mistero della seconda macchina. Finora solo un testimone alla riapertura delle indagini ha dichiarato qualcosa in questo senso: un fatto che non si è mai chiarito e che noi abbiamo provato ad illuminare, attraverso nuove testimonianze e andando alla ricerca di verbali in parte dimenticati in parte nascosti, sulle ore immediatamente successive alla mattanza. Venerdì 15 presso la libreria Notebook dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, dalle ore 18, alcuni autori e ospiti presenteranno la rivista che sarà anche disponibile per chi desidera acquistarla.

di Simona Zecchi – Martina Di Matteo

Ostia – Roma. Nella notte fra il 1 e il 2 novembre del 1975 il corpo di Pier Paolo Pasolini viene trovato in una pozza di polvere e sangue all’Idroscalo di Ostia. Sono le 6.30 del mattino e le voci degli abitanti delle baracche, per la maggior parte abusive, si sfilano sommesse mentre le prime luci dell’alba fanno capolino. Solo la signora Maria Teresa Lollobrigida si rende conto, all’inizio scambiandolo per un grumo di rifiuti, che la poltiglia di carne corrisponde alla sagoma irriconoscibile di un uomo. E’ il corpo di Pasolini ma lo si scoprirà solo dopo, a circa un’ora dal ritrovamento, quando lo si collegherà al furto di un’auto avvenuto nella notte a molte ore di distanza.

È una morte quella dell’intellettuale che entra immediatamente a far parte di quella storia di delitti eccellenti e stragi di Stato dell’Italia degli anni di piombo. Sono gli anni centrali della strategia della tensione che vedono l’alternarsi una serie di attentati efferati, addebitati a entità altre rispetto alle organizzazioni strettamente terroristiche di destra e di sinistra. Una tensione che ha inizio con la strage di Piazza Fontana nel 1969 e che si scioglie apparentemente nel 1984 con l’attentato del rapido 904. In quest’arco di tempo e in particolare negli ultimi anni fino alla sua morte, Pier Paolo Pasolini scrive, raccoglie informazioni e denuncia con l’intento di riunire tutto in una grande summa letterario-giornalistica, “Petrolio”. L’opera rimane però incompleta a causa della sua morte violenta e vedrà la pubblicazione solo 19 anni dopo. Pier Paolo Pasolini ha ancora molto da dire quando viene ucciso quella notte di novembre 1975 e la sua voce non ha smesso .

L’AUTO DI PASOLINI? RITROVATA SULLA TIBURTINA (Prima parte)

Tra le tante parti ancora non emerse sulla morte di Pasolini, una riguarda la sua auto. Una diversa dinamica che riguarda le ore immediatamente successive alla mattanza, che potrebbe riscrivere completamente l’indagine su quel massacro e che si lega a una dichiarazione rilasciata da Sergio Citti nel 2005 a Guido Calvi secondo cui l’auto di Pasolini sarebbe stata ritrovata abbandonata sulla Tiburtina1. Una verità fatta scivolare probabilmente via dalle carte del fascicolo relativo al processo a carico di Giuseppe Pelosi. E’ solo un verbale ma cambierebbe tutto.

A raccontarci una verità diversa è un nuovo testimone della vicenda cresciuto nel quartiere del Tiburtino assieme a quel gruppo di giovani chiamati più volte in causa nei dintorni del delitto: “Pino se lo so’ bevuto alla fontanella de piazza Gasparri… lo sapevano tutti nel quartiere, come tutti sapevano che quella notte con lui ci stavano i Borsellino e Johnny.”

Piero (nome di fantasia) non faceva parte del giro, di quelle bande sfilacciate di criminali che a Roma operavano ognuna per conto proprio senza intrusioni e senza collegamenti. Piero ha vissuto ai margini di quel mondo osservandolo per difendersi. Quella che racconta è una storia che non è mai stata così segreta come si è portati a immaginare, è piuttosto una storia conosciuta da un intero quartiere, di cui molti hanno saputo e nessuno ha parlato. Lui quei ragazzi li conosceva bene, fu lui stesso, racconta, ad aprire la porta del bagno in cui il padre dei due Borsellino (Franco e Giuseppe Borsellino ormai deceduti che furono fermati e poi rilasciati per mancanza di riscontri alle indagini dell’allora Carabiniere Renzo Sansone, nda), si impiccò alcuni mesi prima di quel 2 novembre del ’75. Arriccia il naso mentre lo racconta, quasi come a non voler vedere quell’immagine, poi va avanti.

All’Idroscalo, Pelosi arriva in macchina con Pasolini mentre Mastini (Giuseppe Mastini alias Johnny Lo Zingaro più volte chiamato in causa negli anni senza mai andare a fondo sul suo ruolo secondo quanto a noi risultato, nda) si trova nell’altra Alfa 2000 quella blu probabilmente guidata da Antonio Pinna, descritto nell’ambiente come un esponente della malavita romana e confidente di Pasolini, e i due Borsellino arrivano invece col Gilera. Già nei mesi immediatamente successivi al delitto la giornalista Oriana Fallaci, insieme al suo collaboratore Mauro Volterra, nella contro-inchiesta de “L’Europeo”2, avevano parlato di due motociclisti su un Gilera. Nei verbali emerge che l’indiscrezione sia arrivata dalla giornalista americana, allora a Roma, Kay Withers, attraverso il collega Robin Lustig3 della Reuter di Roma. Lustig (ora alla BBC) conferma via e-mail di aver riportato ciò che sapeva sul caso Pasolini unicamente da quanto riferitogli dalle forze dell’ordine, e certo il tempo passato – dice – non lo aiuta nel ricordo. Sarebbe legittimo dunque almeno pensare che gli inquirenti fossero fin dall’inizio sulle tracce di una motocicletta?

Dì, ma qui non si vedono più quelli che hanno la motocicletta? Chi ce l’ha la motocicletta?

«Vuoi dire la Gilera 124? Quella ce l’ha il Roscio.» 4

Piero ci racconta di chi è quella motocicletta, confermando quella stessa notizia dell’Europeo. La Gilera è del Roscio, il suo nome è Mimmo D’Innocenzo. Mimmo aveva impicci con la droga e frequentava la stessa bisca di Pelosi e gli altri.

“Gli presero la moto per qualche motivo, forse c’aveva un debito, non lo so bene e non so nemmeno da dove l’avesse presa, ma era la sua quella moto, gliela fecero ritrovare poi davanti a un fioraro sulla Tiburtina. Poi qualche anno dopo lo “suicidarono”, lo trovarono morto per overdose in una macchina sul Lungo Tevere”.

Non ricorda bene il mese o l’anno Piero, ha paura di accavallare le date, di dare informazioni sbagliate ma alcuni fatti li ricorda perfettamente e ricorda perfettamente che Mimmo non voleva più quella moto, perché era stata “impicciata” in qualcosa in cui non voleva entrare. Mimmo morì nel 1979, qualche anno più tardi forse perché, come Piero ipotizza avendolo conosciuto bene, sull’uso fatto della moto voleva saperne di più.

“Io li conoscevo perché abitavamo tutti lì, andavamo a impennare coi motorini insieme, facevamo qualche furtarello, ma non eravamo amici. Loro erano iscritti al partito monarchico, stavano in fissa col fascismo, io invece ero sempre stato di sinistra, ci siamo pure menati qualche volta con quelli di destra”.

Piero continua il racconto, mentre arrotola una sigaretta di tabacco senza filtro e ammette di averli anche invidiati un po’ quei ragazzi. Alla memoria gli tornano immagini come fotografie. “A volte li guardavo andare avanti e indietro con le vespe dai vetri della mia bottega e li invidiavo perché io stavo là a lavorare e loro scoattavano tutto il giorno, ma sono stato fortunato. Poi io c’avevo mia mamma che mi stava sempre dietro, non mi sono mai drogato. Le canne sì, quelle me le facevo ma non mi sono mai drogato…Mimmo invece sì”. Piero torna spesso a Mimmo nel suo racconto, quello è con buona probabilità il motivo per cui ha deciso di parlare.

Idroscalo di Ostia: la rabbia degli sfollati

Servizio ripresa e articolo pubblicato su Fanpage.it  di Simona Zecchi, Martina Di Matteo, Peppe Pace

Nel febbraio di tre anni fa, le ruspe del comune di Roma entrarono all’Idroscalo, dove da sessant’anni vivevano 500 famiglie. Nel giro di due ore e senza alcun preavviso, diverse famiglie furono allontanate dalle proprie case che vennero immediatamente demolite. Da tre anni il comune spende circa 3000 euro al mese per ognuna delle famiglie sgomberate e trasferite in un residence. Lo sgombero e la demolizione costarono alle casse comunali circa 6 milioni di euro. Al posto delle “baracche” demolite, il nulla.

Era l’alba del 23 febbraio del 2010 quando 35 famiglie, residenti nella zona dell’Idroscalo di Ostia, vennero allontanate dalle proprie case con un’ordinanza della protezione civile a causa di un pericolo di esondazione. È Paula De Jesus, urbanista a supporto tecnico della Comunità Foce Tevere, che si batte da anni per fare in modo che la riqualifica dell’Idroscalo avvenga in modo che i residenti mantengano le proprie abitazioni, a spiegarci che l’ordinanza della Protezione civile è da considerarsi illegittima: quel 23 febbraio non ci fu nessuna esondazione e, anzi, le condizioni meteorologiche quel giorno non lasciavano presagire nulla di preoccupante. In poco più di due ore, e senza nessun preavviso (nonostante le ordinanze ricevute dai cittadini quel giorno fossero datate al 17 febbraio), 35 famiglie furono costrette a raccogliere i propri effetti personali tentando, per quanto possibile, di salvare il mobilio (sistemato alla meglio in alcuni container pagati dal Comune di Roma), prima di essere trasferiti al residence “Borgo del Poggio” in via di Fioranello, nei pressi di via Ardeatina. Le case furono abbattute quel giorno stesso, in fretta, per evitare che le persone ne riprendessero possesso. Da quel giorno il Comune di Roma non è mai più intervenuto sul luogo. Una manovra, questa, costata al Comune circa 6 milioni di euro, per non parlare della somma, stimata tra i 2000 e i 3000 euro al mese a famiglia, che da ormai quasi due anni serve a coprire le spese del residence. Nel frattempo, il destino di tutti gli altri abitanti della zona sembra incerto. Infatti, secondo il progetto di riqualifica del territorio, entro il 2013 dovrebbero essere abbattute tutte le altre “baracche” per dar luogo alla costruzione di un Parco Fluviale. A rendere la situazione ancora più problematica vi è inoltre il fatto che nessuna delle famiglie residenti all’Idroscalo, tantomeno le 35 residenti al Borgo del Poggio, compare in alcuna delle liste di assegnazione per alloggi popolari.
La Comunità Foce Tevere, spiega la portavoce Franca Vannini, continua a battersi per una riqualifica del territorio che preveda la creazione di un piccolo borgo dell’Idroscalo, che permetta non solo alle persone di mantenere le proprie case ma che miri anche conservare l’identità del quartiere.

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PPP, una polemica inversa: una mostra ispirata ai versi di Pasolini

Pubblicato su Periodico Italiano daily il 24/10/12

Si avvicina l’anniversario del massacro di Pier Paolo Pasolini,avvenuto all’Idroscalo di Ostia  nella notte fra il 1° e il 2 novembre del 1975, che ha sottratto all’Italia la voce più libera e autentica del ’900, interrompendo così una produzione letteraria artistica e saggistica  al culmine della sua espressione, e anche quest’anno (in realtà succede per fortuna ormai da qualche anno) si avvicenderanno, incrociandosi e alternandosi, gli eventi culturali che ricordano o si ispirano alla sua opera.

Un’opera tanto eclettica nei suoi diversi approcci e generi  che lascia spazio, a chi ne ha voglia e anche a chi ne ha la possibilità e il talento, di esprimersi o ricordarla magari lasciando un segno e una scia alle generazioni future e per i “giovani” di oggi: sia a raccoglierne l’eredità che, volendo, a trasformarla perché gli emuli non servono, a volte anzi si rivelano deleteri.

Tra i prossimi eventi degni di nota (oltre a un’interessante passeggiata letteraria che si terrà sabato 27  ottobre con partenza dalla “Feltrinelli” di Viale Marconi a Roma, guidati dallo scrittore Frank Solitario)  sicuramente la mostra che si terrà presso il “Palazzo Incontro” di Via dei Prefetti, 22, a Roma il giorno 30 ottobre dalle ore 18.00. La mostra proseguirà nel corso dei giorni successivi con data finale da comunicare.

L’iniziativa, che prevede  due giornate di approfondimento sull’opera di Pasolini, si avvale del supporto di un comitato scientifico formato da Carla BenedettiAchille Bonito OlivaGianni Borgna e Dacia Maraini. Ideata e organizzata dall’”Associazione culturale Teorema“.

E’ una mostra d’arte si, ma il progetto  sembra voler aprire ad altro di più ampio respiro, come appunto a voler convogliare tutta l’arte   in cui il poeta di Casarsa, che ha trascorso un periodo importante nella Capitale dal 1955 fino alla sua morte,  si è espresso: ventidue artisti, undici poesie, opere fotografiche, quadri e sculture.

Si parte però da una specificità che caratterizza la mostra tutta e che ne vede al centro l’opera poetica di Pasolini: undici componimenti in versi tratti da Le ceneri di Gramsci, La religione del mio tempo, Poesia in forma di rosa, Trasumanar e organizzar, saranno rielaborati creativamente da due generazioni diverse di artisti, alcuni tra i più importanti pittori, scultori e fotografi operanti nel panorama italiano e internazionale:Claudio Abate, Carla Accardi, Gianfranco Baruchello, Matteo Basilé, Veronica Botticelli, Laura Canali, Giuseppe Capitano, Gianni Dessì, Mauro Di Silvestre, Rocco Dubbini, Giosetta Fioroni, Nino Giammarco, Franco Gulino, Jannis Kounellis, Elena Nonnis, Nunzio, Giuseppe Pietroniro, Michelangelo Pistoletto, Oliviero Rainaldi, Pietro Ruffo, Maurizio Savini, Sten & Lex.

Una conferenza stampa rivolta ai giornalisti alle ore 12, a cui parteciperanno Nicola Zingaretti, il critico d’arte Achille Bonito Oliva, lo scrittore e saggista Gianni Borgna e il curatore della mostra Flavio Alivernini, aprirà la giornata inaugurale. La mostra ha avuto il patrocinio della Provincia di Roma.

Pasolini una verità tutta da scrivere (Paese Sera Novembre 2011)

La sparizione di alcune pagine di Petrolio, pubblicato da Einaudi 19 anni dopo la morte di Pier Paolo Pasolini, e in particolare del famoso capitolo 21, di cui si conosce solo il titolo, Lampi sull’Eni, e poco altro. Intorno, la mano di alcuni apparati deviati dello Stato e tante verità che cercano di coprirne una sola: quella ancora non scritta su quella tragica notte tra il primo e il 2 novembre del 1975.

E’ questa, in sintesi, la tesi del film inchiesta Pasolini, la verità nascosta di Federico Bruno, le cui riprese sono ancora in corso a Roma. Una tesi che ha dei chiari punti in comune con quella che ha spinto l’avvocato Stefano Maccioni e la criminologa Simona Ruffini a chiedere nel 2009 una nuova apertura delle indagini sull’omicidio di Pasolini. «A partire dagli anni Settanta c’è stata un’evidente e non confessata censura verso gli autori più politicizzati – sottolinea Bruno – per non parlare del vuoto culturale di tutti questi anni e la mancanza di strutture idonee alla diffusione dell’arte cinematografica. Ora però abbiamo a disposizione una serie quasi infinita di storie e misteri da raccontare».

Il film, scritto diretto e prodotto dal regista, esplora gli ultimi dieci mesi di vita di Pasolini, tra le località che lo videro impegnato a realizzare film, scritti e collaborazioni. Il castello di Chia (Viterbo), Sabaudia, Roma ma anche Francoforte, Parigi, Stoccolma: sono le location utilizzate da Federico e la sua giovane troupe per raccontare mesi intensi e raminghi in cui il poeta si stava dedicando alla scrittura di Petrolio che, nelle intenzioni, doveva rappresentare la summa di tutta la sua opera.Paese Sera ha seguito la troupe per una giornata intera, a Roma, quella in cui si sono girate le scene dell’incontro fra lo scrittore e il giovane Pino Pelosi, l’accenno al furto delle pizze del film Salò o le 120 giornate di Sodoma (in base alle ultime rivelazioni di Pelosi) e la discussione fra i due all’uscita da un’osteria, che dà la cifra del rapporto intenso che li legava. Tutte sequenze ricostruite in base al racconto dello stesso Pelosi: una fiducia totale nel regista ha infatti scalfito la diffidenza del ragazzo-cinquantenne, che dal 2005 ha cominciato a rivelare, pur ritrattandole a volte, parti di verità.

Pasolini, la verità nascosta si struttura come una fiction che ha per protagonisti una studentessa spagnola (l’attrice Eva Basteiro-Bertoli) e un giornalista tedesco (Gideon Bachman) che interpreta se stesso. Un film “diviso”, nell’ambientazione e nell’estetica: in bianco e nero la parte rivolta a quel 1975; a colori quella che vede Eva indagare, per la sua ricerca, sull’omicidio avvenuto all’Idroscalo di Ostia 36 anni fa. Fondamentale, poi, la scelta dei protagonisti “storici”, che dovevano essere il più possibile somiglianti a quelli veri. A impersonare Pasolini è l’attore teatrale Alberto Testone, forte di un valido curriculum alle spalle e di una somiglianza impressionante. «Iniziare a interpretare Pier Paolo a teatro e poi al cinema – afferma Testone – mi ha fatto quasi sentire investito di un ruolo sociale, consapevole dell’importanza che quest’uomo rappresentava per la cultura e la storia di questo Paese. Le origini di borgata romana come quella da cui provengo, il Tufello, mi danno la conoscenza e la giusta prospettiva per capire il mondo in cui si muoveva al tempo Pasolini».

Altro protagonista, fuori e dentro il film, è, come già accennato, Pino Pelosi che nell’ultimo processo, svoltosi nell’aprile del 1979, è stato condannato a 9 anni e 7 mesi per omicidio, con l’esclusione del concorso di ignoti. Pelosi giovane è interpretato da Fabio Maffei, anche lui proveniente dal teatro e molto somigliante al personaggio di cui deve vestire i panni: corpo minuto, movimenti e atteggiamenti che non sembrano studiati, ma naturali. Mentre per le scene ambientate nel presente è lo stesso Giuseppe Pelosi a interpretare se stesso. Nel cast figurano anche Cosimo Cinieri (Alberto Moravia), Fiorenza Tessari (Dacia Maraini), la soprano Lucia Aliberti (Maria Callas), Marcello Maietta (Ninetto Davoli). La musica sarà composta per il tema ricorrente dal musicista Guido Mazzon, cugino di Pasolini e anch’egli testimone di alcune vicende successive alla morte analizzate nel corso delle attuali indagini. «La titanica, sfaccettata figura di mio cugino – sottolinea Mazzon – va affrontata con candore, tenerezza e determinazione e con Federico ho trovato subito l’accordo». Che si è poi tradotto nella colonna sonora Loss of You e altre brevi composizioni, sospese in un ponte ideale fra memoria e pensieri.

Articolo pubblicato il 01/11/11 su Paese Sera (cartaceo)