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Una vita nell’Arma… a difendersi: la storia del carabiniere Marcello Turetta (seconda parte)

La mancata segnalazione di cui parlavamo nella prima parte dell’articolo, (http://www.nottecriminale.it/una-vita-nell-arma-a-difendersi-la-storia-del-carabiniere-marcello-turetta-prima-parte.html), resta il perno paradossale della storia. Non vi fu segnalazione dell’evento che ha causato un drammatico incidente perché il registro al momento dell’accaduto sembrava non esistesse: registrazione mancata uguale sinistro mai accaduto, come riportare indietro le lancette di certi orologi insomma.

La lista delle omissioni e delle inesattezze sono il risultato dell’effetto domino di un’azione incontrollabile: mancate comunicazioni alle autorità competenti e nessun intervento da parte dell’assicurazione militare.

Non ultimo, nel settembre del 2010, il diniego di accedere agli atti perché, stante la documentazione, il Comando non avrebbe ricevuto segnalazioni riguardo il sinistro. “Una volta scoperto che vi erano delle anomalie nella procedura – continua Marcello – mi sono rivolto all’Ufficio Servizi Sociali del Comando Legione CC Lazio. Qui mi riferivano che da accertamenti eseguiti, il mio comando aveva denunciato i soli danni al veicolo di servizio, omettendo di comunicare all’assicurazione “Zürich” e facendolo soltanto dopo il mio intervento.”

E poi il nostro dialogo prosegue, dove il racconto sembra alternarsi alla forma di un verbale, tanto preciso come fosse riferito a poco tempo prima e non ai reali 4 anni trascorsi. Un altro nodo cruciale è la svolta, durante i vari accertamenti medici succedutisi all’incidente, delle indicazioni di servizio da parte dell’allora Comandante di reparto, che, contrariamente a quanto repertato e indicato negli esami, lo avvisava che sarebbe dovuto rientrare in servizio mobile (escluso i mezzi veloci).

 Mi parli delle varie richieste d’apertura inchiesta.
Ci sono state delle anomalie anche in questo. Il Comandante della compagnia di Anzio, un giorno mi chiamò al telefono proprio dopo aver avuto un colloquio con due appartenenti al COBAR (Consiglio di base di Rappresentanza, ndr.) i quali asserivano che il comandante provinciale di Roma, Generale Tommasone, aveva dichiarato che le mie lesioni erano dovute alla pratica di arti marziali e non a fatti di servizio, cosa confutata dal Comitato di Verifica per le cause di servizio.
Il Comitato infatti stabiliva: che le lesioni riportate sono la “diretta conseguenza del fatto criminoso, stabilendo invalidità e pensione privilegiata.

Nonostante ciò inizialmente ci fu il tentativo di archiviare il caso senza comunicarmelo, tanto da dover anche richiedere per iscritto le motivazioni di tale violazione di legge e la rivalutazione del fascicolo processuale.

Fascicolo che, passato alla valutazione di altro GIP, inizialmente iscriveva un indagato dando mandato al PM il proseguimento delle indagini.
Lo stesso PM, tuttavia, ometteva tali indagini pur iscrivendo una persona nel registro degli indagati. Da qui, una nuova richiesta di archiviazione con uno stratagemma: indagare chi in quel momento non era responsabile del reparto, ottenendo così l’archiviazione del GIP che non era entrato nel merito delle indagini e prove documentali.
Sarebbe bastato accertare quanto depositato quale fonte di prova per far si che crollasse un’intera scala gerarchica, la quale a mio parere a questo punto agisce come una vera e propria associazione a delinquere, dando vita a una copertura piramidale delle responsabilità.
Quali sono le azioni da lei intraprese per denunciare questi fatti e quali le conseguenze in termini psicologici (ed eventualmente economici) da lei subite dopo la mancata procedura nei suoi confronti?

Tanto è il timore nell’ambiente che mai nessuno tranne due colleghi, si sono interessati alle mie condizioni di salute. Mentre il Maggiore Gaeta, comandante della compagnia di Anzio, mi chiamò soltanto per farmi ritirare la denuncia depositata il 18 gennaio 2010 presso la stazione dei CC di Anzio e il collega presente durante l’operazione non ha inteso proseguire con le denunce perché a mio avviso intimorito dalle conseguenze.

Marcello si fa anche forza del silenzio seguito alla pubblicazione dell’articolo di “Latina Oggi” il novembre scorso:

L’articolo personalmente inviato alla gerarchia militare della mia amministrazione. Se quanto pubblicato fosse stato ritenuto falso, sia dall’amministrazione dell’arma dei Carabinieri, che dalla stessa procura di Velletri, avrebbero dovuto procedere nei miei confronti per dichiarazioni mendaci o calunnia a mezzo stampa. Nessun procedimento aperto nei miei confronti, dunque, in merito all’articolo del quotidiano.” “Il mio congedo è in realtà da considerarsi illegittimo, com’ è stato repertato dai test effettuati presso la CMO di Roma (Commissione medica Ospedaliera per militari, ndr) i quali, si è scoperto, non combaciano con quanto asserito nell’azione di congedo. Il mio attuale stato psicologico è diretta conseguenza delle ripetute omissioni poste in essere dall’amministrazione dell’arma dei Carabinieri e lo stress da esse scaturito.

Marcello è tuttora in cura per quei danni e anche per danno da mobbing presso il Sant’Andrea di Roma. Nel corso degli anni il carabiniere ha messo in atto ogni tentativo per porre all’attenzione dei diversi organi istituzionali la sua storia. Non solo per se stesso certo, così dichiara; soprattutto per un senso di ingiustizia che va colmato ed esteso ad altri che possono imbattersi in una simile situazione: “Ho scritto e parlato con personaggi del SUPU (Sindacato Unitario Pensionati in Uniforme, ndr) i quali si sono dimostrati soltanto interessati all’aspetto politico e non certo al fatto in sé, anche se tali episodi devono ritenersi gravissimi da parte di una amministrazione dello Stato. Probabilmente la mia storia faceva male a qualcuno.”

Negli ultimi giorni alcuni spiragli di luce tuttavia sono emersi proprio per la costanza e la forza con cui Marcello si batte. Dopo un’ulteriore deposizione per avocazione di indagine inviata presso la procura generale durante l’estate del 2011 e mai arrivata a destinazione, la Polizia giudiziaria di Velletri lo interrogherà prossimamente come parte offesa.

Sembra la storia infinita della giustizia a orologeria bloccata che in Italia continua a mietere vittime: del dovere, delle stragi e dei silenzi.

Una vita nell’Arma… a difendersi: la storia del carabiniere Marcello Turetta (prima parte)

Questa è una storia la cui pubblicazione ha subito non poche difficoltà. E’ una storia simile per concetto ad altre: si parla di mobbing e d’ingiustizie, in luoghi che forse più di ogni altri sono deputati all’esatto contrario. Succede anche qui e Notte Criminale ne parla. 

 Marcello Turetta, vittima del dovere secondo i reperti e le documentazioni esistenti dal 2007, ma non secondo il Comando di Anzio, presso il quale Marcello operava allora. Una storia che apre uno squarcio nella giustizia – un altro – e che svela dei meccanismi non proprio corretti in un Corpo votato alla difesa dei cittadini.
 Ventisei anni di servizio e di fedeltà all’arma non sono bastati a Marcello Turetta, carabiniere scelto in congedo dal 2007, per le conseguenze del reato cui è stato vittima a Campoverde (LT) insieme a un suo collega durante un inseguimento.
Né è bastato evidentemente, come prova della sua dedizione, l’attentato subìto in Sardegna in provincia di Nuoro nel 1992, quando la sua auto esplose sotto una carica di gelatina alla nitroglicerina. (Fonte Ansa Cagliari-17/8/1992). L’attentato fu poi rivendicato con una telefonata alla redazione cagliaritana dal gruppo ”17 novembre” caduto sotto le parole dei pentiti nel 2002: 23 vittime in 27 anni.
Ventisei anni di servizio e di fedeltà all’arma non sono bastati a Marcello Turetta, carabiniere scelto in congedo dal 2007, per le conseguenze del reato cui è stato vittima a Campoverde (LT) insieme a un suo collega durante un inseguimento.

Né è bastato evidentemente, come prova della sua dedizione, l’attentato subìto in Sardegna in provincia di Nuoro nel 1992, quando la sua auto esplose sotto una carica di gelatina alla nitroglicerina. (Fonte Ansa Cagliari-17/8/1992). L’attentato fu poi rivendicato con una telefonata alla redazione cagliaritana dal gruppo ”17 novembre” caduto sotto le parole dei pentiti nel 2002: 23 vittime in 27 anni.
Tuttavia Marcello non ha ricevuto mai aggiornamenti delle eventuali indagini svolte e la procedura come vittima del dovere per questo evento è ancora in corso. Durante l’intervista telefonica, tesa a chiarire l’intera storia, il peso della vicenda più recente trapelava denso tra le pause, la cronologia dei fatti e le loro spiegazioni.

Un tono accorato ma allo stesso tempo fermo e attento a ricordare tutti i fatti minuscoli e grandi che hanno contraddistinto la sua vicenda sin da quel giorno dell’inseguimento.
 Il ferimento di cui è stato vittima nel 2007, mi conferma sia avvenuto durante un’operazione di servizio?
Su segnalazione della Centrale operativa agganciavamo un veicolo in fuga sulla Nettunense (strada stradale del litorale romano ndr.), veicolo già inseguito da altra pattuglia dei CC al cui alt in precedenza non si era fermato, tentando di investire gli stessi operanti. Confermo, dunque, che l’inseguimento in servizio è terminato dopo circa un’ora con lo speronamento del mio mezzo di servizio, proprio mentre scendevo dallo stesso facendomi così richiudere lo sportello addosso con un forte urto. A tale episodio hanno partecipato altre macchine dei CC e della PS Stradale di Albano che ha poi rilevato i luoghi dell’impatto del sinistro
L’incidente le ha creato delle conseguenze fisiche?
 Si, le lesioni successive al fatto, mi hanno portato a subire un intervento chirurgico alla colonna cervicale con protesi, nel tentativo di recuperare il movimento dell’arto superiore sinistro ormai paralizzato.
Quali sono di norma i passi successivi che la sua amministrazione, secondo la sua esperienza e conoscenza, avrebbe dovuto compiere? 

Il Comando avrebbe dovuto iscrivere il nominativo dei militari feriti entro 24 ore dall’episodio, nel “registro degli infortuni” previsto per legge, la immediata successiva comunicazione all’autorità di PS (commissariato di Anzio) e il servizio prevenzione infortuni lavoro della ASL di Anzio, i quali interpellati da parte mia tramite atti amministrativi, dichiaravano per iscritto di non aver ricevuta alcuna segnalazione di infortunio.
 Marcello continua il racconto parlando anche di chi ha commesso il sinistro, tale Carpentieri Antonio contro cui Marcello si è costituito parte civile.
Nell’ultimo processo svoltosi a ottobre 2011, in cui altri colleghi hanno testimoniato sull’inseguimento, la parte ha spostato le accuse da lesioni dolose a tentato omicidio.
Il 9 febbraio si terrà altra udienza in cui il test principale, collega di Marcello e autista durante l’avvenimento, sarà costretto a testimoniare).
 La storia, pubblicata già in parte a novembre del 2010 sul quotidiano pontino “Latina Oggi”, è ancora ferma all’ennesimo ricorso chiesto da Marcello e il suo avvocato (il terzo ad oggi) affinché si riapra un’inchiesta.
Anche se proprio in questi giorni si è aperto uno spiraglio di cui vi parleremo nella seconda parte dell’intervista.
È un’inchiesta aperta tutta dentro l’Arma e quindi di difficile soluzione, ma raccontarla è utile anche per aprire una riflessione fuori e dentro questi organi. ( continua )
Questa prima parte di un’inchiesta/storia è stata pubblicata il 04/2/12 su Notte Criminale